
La carota selvatica, daucus carota, appartiene alla famiglia delle unbellifere. Il suo nome deriva che deriva da due termini greci dakkos, che sta ad indicare che la specie era impiegata a scopo medicinale in tutta l’antica Grecia , e dal termine daio, che significa irritare.
La qualità di carota che conosciamo comunemente ai giorni nostri, ovvero la qualità coltivata come ortaggio è la carota sativus, il cui nome deriva dal termine karotan, ed è originaria dell’Afganistan. Il suo uso culinario fu scoperto solo a partire dal Medioevo, e da quel momento la specie coltivata cominciò a sostituire l’uso e la ricerca di carote selvatiche, che fino ad allora crescevano spontanee in tutto il continente europeo, in Asia e nel Nord Africa.
Nel territorio italiano è tuttora presente, la si può trovare con molta facilità nelle zone umide e temperate dei prati, ai margini dei sentieri oppure lungo le dune sabbiose della costa e addirittura sulla sommità delle scogliere. A causa della sua prolificazione e della sua tendenza a crescere in qualunque luogo, nonostante la presenza delle allegre inflorescenze primaverili, la carota selvatica è considerata una pianta infestante.
A differenza della carota comune quella selvatica è una pianta biennale con una radice legnosa che dal secondo anno di vita sviluppa un grande fusto fioriero che si ramifica e forma degli ombrellini alla cui estremità si sviluppano le inflorescenza, i fiori sono molto piccoli, di colore bianco e raggruppati in mazzetti, più o meno grandi, nel cui centro spiccano dei fiori di colore rosso molto scuro.[banner]
Storia e simbologia
Sia gli antichi greci che i romani la conoscevano e ne apprezzavano le qualità medicinali, veniva infatti utilizzata per curare lo scorbuto, le scottature e per via delle sue proprietà altamente diuretiche.
Nel linguaggio dei fiori e delle piante i fiori della carota selvatica simboleggiano la felicità e sono considerati un simbolo di festa. Secoli fa, venivano utilizzati per abbellire gli ambienti in occasione dei matrimoni.